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A UN GAROFANO FUGGITO FU DATO IL MIO NOME

6 Dicembre 2019

Presentazione del libro
di Savina Dolores Massa
A UN GAROFANO FUGGITO FU DATO IL MIO NOME

Intervengono
Anna Maria Capraro
Maria Giovanna Piano

Luogo
MEM – Mediateca del Mediterraneo
Via G. Mameli 164,  Cagliari

Ore 
16.30

“A un garofano fuggito fu dato il mio nome” ed. Il Maestrale, è il titolo del nuovo romanzo di Savina Dolores Massa.
Titolo spiazzante come spiazzante è, del resto, l’intera opera della scrittrice.
Ritroviamo in questo lavoro i tratti consueti di una narrazione che sgorgata senza filtri da “ lucida incontinenza di meningi “ incontra qui l’imprevisto di una concisione formale che metabolizza le singolari trovate grammaticali e tiene con mano ferma scorribande oniriche e smottamenti della memoria. Ciò che non riesce al narratore che si pretende onnisciente, riesce a una scrittura che “normalizza” in forma breve la materia incandescente delle vite sconnesse di Elsa e Michele e della vita espulsa e espellente di un’intera comunità esposta senza sconti nella parte offesa come nella parte che offende.
È concisione, dunque, ciò che inchioda la tendenza smarginante della mente e del corpo e la costringe in uno spazio di parola in cui tutto si fa intenso fino alla sgradevolezza tutta olfattiva dei miasmi dei singoli corpi e del corpo maleodorante dell’intera città. Ogni cosa sembra accadere sotto l’egida di una forza espulsiva che mima lo sfregio del rifiuto e dell’abbandono e fa di ogni orifizio la via di fuga da un sé che non è mai sé stesso.
Non è sé stessa Elsa le cui vicende seguono le conversioni anagrammatiche del nome Elsa/Lesa/Sale; una femminilità lesa, appunto, in radice perché costretta dalla nascita a incorporare il maschile di un fratello durato in vita appena quattordici giorni e mai lasciato andare.
Non è sé stesso Michele, a cui la malattia ha resettato la memoria riportandolo punto e a capo.
E proprio nel vuoto abissale di memoria naufraga la possibilità per Elsa e Michele di riscrivere insieme la storia del loro rapporto interrotto. La resa dei conti trova lo scoglio della cruciale domanda che ciascuno può rivolgere all’altro come a sé stesso: chi sei ? Domanda tragica e inevasa che trasforma il fiabesco animismo delle porte parlanti nella pietrificante porta murata dei peggiori incubi.
Qui la poesia ha bagliori di combustione e deve farsi strada per cammini tutt’altro che elegiaci, saltando recinti inciampando per labirinti di vicoli ciechi, raminga per anfratti di verità azzerate, fortissima nell’allestimento teatrale dell’uscita di scena.
Ci accompagna inesorabile là dove la verità appare ultimativa nello scheletro carbonizzato di ciò che è stato. La scrittrice Elsa non si salverà nella scrittura ma nella voce tracciata su un nastro, dono e potere di memoria, unica eredità della lucida follia che si alimenta nella tensione insostenibile di un doppio movimento uguale e contrario di appropriazione e alienazione di sé. Siamo di fronte a un testo per molti versi implacabile, dalla bellezza spigolosa e tagliente, in cui l’autrice sembra giocare l’azzardo di una esposizione di sé la cui misura solo lei conosce.

Maria Giovanna Piano